Viaggiare. Una buona pratica per uscire dalla propria comfort zone

In questi ultimi due anni ho dedicato molto tempo allo studio. Ho cercato di accrescere principalmente le mie competenze professionali, a cui ho affiancato skills a corredo come quelle che sto cercando di applicare per il successo di questo e di altri progetti.

Diciamo che per me che sono una creativa, curiosa, costantemente alla ricerca di stimoli, la comfort zone è un confine stretto. E la sua ripetitività mi spinge spesso verso quella che è chiamata sindrome dell’impostore. Di questo argomento ne ho parlato in diversi articoli scritti su Medium, e nei canali di streaming che ho aperto da poco.

Quello che ho imparato confrontandomi anche con altri professionisti, è che la comfort zone di per sé non è negativa, ma lo diventa quando ti iscrive in una coazione a ripetere, che porta alla frustrazione. Mi piace allora citare le parole del collega Roberto Oscurato che in una intervista fatta insieme, mi raccontava di come a lui piaccia uscire dalla sua comfort zone, per poi rientraci. E anche se in quel contesto si parlava di design e di confidenza creativa, i principi sottesi alla comfort zone restano gli stessi

Uscire dalla comfort zone. Sì o no?

La Psicologia Comportamentale definisce la comfort zone come: La condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio”. Questo significa che tutti abbiamo la propria/le proprie comfort zone. Può essere uno stile di vita, una persona cara, e molto altro ancora; o meglio ciò che per il soggetto rappresenta una situazione di sicurezza, in cui tutto è tenuto sotto un discreto controllo. E quando usciamo da questa area dove ogni cosa scorre secondo i piani, possiamo provare ansia e paura, perché ci stiamo esponendo al rischio.

E se la domanda, a questo punto, potrebbe essere, “in che modo allora possiamo uscire dalla zona di comfort senza farci male?”, voglio in realtà spostare la tua attenzione verso un’altra questione ancor più fondamentale: “Perché dovrei uscire dalla zona di comfort?”

Uscire dalla propria comfort zone significa imparare, crescere, evolvere. E il bello che sei tu, in completa libertà a scegliere fino a dove spingerti. C’è chi infatti preferisce procedere a brevi passi, chi invece si butta a capofitto e passa da zero a cento. Su questo non esiste una regola precisa. A volte hai una occasione che merita di essere colta, altre invece puoi affrontare tutto con tempi più lenti. La costante, a mio avviso, è rappresentata dalle cose importanti su cui dovremmo focalizzarci sono due: il processo e l’apprendimento.

Il processo. Per processo intendo l’atto di “so-stare” coscientemente nel percorso che stiamo facendo, assaporandone il momento. Fare una valutazione di quello che stiamo facendo e in che modo stiamo progredendo.

L’apprendimento. Fare un momento positivo di auto-critica per capire come ci siamo sentiti, cosa abbiamo appreso. Valutare pro e contro, per capire cosa ci portiamo dietro da questo momento in poi.

Viaggiare per uscire dalla propria zona di comfort

Anche il viaggio può essere una pratica per uscire dalla propria zona di comfort. Quando viaggi infatti rompi la tua routine. E questo di per sé è già un primo cambiamento. Non hai più i tuoi orari, le tua attività, le tue regole, e devi imparare a saperti adattare. Ai ritmi, alla cultura, alla cucina, alla lingua. Ad una serie di cose che normalmente dai per scontato.

Viaggiare significa vivere, anche se per poco, nell’incertezza. Questa prima considerazione ci apre al passaggio successivo. La capacità di problem solving. Molto spesso infatti, quando siamo in viaggio, può capitare un imprevisto. Come reagiamo alla situazione? Come troviamo una soluzione? Ecco al lora che il viaggio ci sfida a trovare nuove soluzioni per la gestione del non noto, e ci ripaga con una nuova skill fondamentale anche in ambito professionale.

Viaggiare ci apre verso nuovi orizzonti, anche interiori

Viaggiare ci spinge al confronto. E ci muove verso l’altro. A conoscere nuove persone in momenti di gioia e di difficoltà. Ci insegna a comunicare anche se non si conosce la lingua locale, e di averne rispetto. Della cultura e della terra che stiamo visitando. E questo è un grande arricchimento perché quando torniamo poi a casa nostra, le cose le notiamo. Parliamo con un tono di voce diverso, più calmo e meno squillante, e siamo più propensi all’ascolto. Iniziamo anche ad essere consumatori più consapevoli. Come vedi, siamo uscitiə e rientratə, più volte e con una certa naturalezza, dalle nostre zone di comfort.

C’è chi viaggiando scopre anche la meditazione, o il divino. C’è chi si ricongiunge finalmente, con se stessə. Si comprende di cosa si ha bisogno e cosa è superfluo. Si creano legami, che poi restano indissolubili. Perché del viaggio si è assaporato la parte più bella, la condivisione. Ed ecco che si prende consapevolezza di una nuova dimensione di sé, esplorando emozioni e reazioni che pensavamo di non possedere.

Viaggiare arricchisce l'autostima

Quando poi torni dal viaggio e racconti la tua esperienza ad amici, colleghi e parenti, sei più spigliatə; e ti scopri colmə di una nuova ricchezza perché hai affrontato situazioni inaspettate e, sì, sicuramente qualche imprevisto; ma alla fine ce l’hai fatta, e vuoi subito rimetterti in moto verso una nuova destinazione. E anche se qualcosa è andato storto, ti ha comunque arricchito, di ha dato una nuova consapevolezza e obbligato ad una conoscenza. Insegnamento questo di cui farei sicuramente tesoro per il futuro.

Come vedi, la sola certezza verso questo nuovo percorso è quella che tutti possono uscire dalla zona di comfort. E questo movimento di andare, venire, tornare, e uscire di nuovo, fa bene a noi e alle persone che ci stanno attorno. Per questo ti invito a rompere la tua routine, e a cercare attività per crescere. Il viaggio è solo una di queste, ma mi sembra un buon inizio, no?

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Viaggiare. Una buona pratica per uscire dalla propria comfort zone

In questi ultimi due anni ho dedicato molto tempo allo studio. Ho cercato di accrescere principalmente le mie competenze professionali, a cui ho affiancato skills a corredo come quelle che sto cercando di applicare per il successo di questo e di altri progetti.

Diciamo che per me che sono una creativa, curiosa, costantemente alla ricerca di stimoli, la comfort zone è un confine stretto. E la sua ripetitività mi spinge spesso verso quella che è chiamata sindrome dell’impostore. Di questo argomento ne ho parlato in diversi articoli scritti su Medium, e nei canali di streaming che ho aperto da poco.

Quello che ho imparato confrontandomi anche con altri professionisti, è che la comfort zone di per sé non è negativa, ma lo diventa quando ti iscrive in una coazione a ripetere, che porta alla frustrazione. Mi piace allora citare le parole del collega Roberto Oscurato che in una intervista fatta insieme, mi raccontava di come a lui piaccia uscire dalla sua comfort zone, per poi rientraci. E anche se in quel contesto si parlava di design e di confidenza creativa, i principi sottesi alla comfort zone restano gli stessi

Uscire dalla comfort zone. Sì o no?

La Psicologia Comportamentale definisce la comfort zone come: La condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio”. Questo significa che tutti abbiamo la propria/le proprie comfort zone. Può essere uno stile di vita, una persona cara, e molto altro ancora; o meglio ciò che per il soggetto rappresenta una situazione di sicurezza, in cui tutto è tenuto sotto un discreto controllo. E quando usciamo da questa area dove ogni cosa scorre secondo i piani, possiamo provare ansia e paura, perché ci stiamo esponendo al rischio.

E se la domanda, a questo punto, potrebbe essere, “in che modo allora possiamo uscire dalla zona di comfort senza farci male?”, voglio in realtà spostare la tua attenzione verso un’altra questione ancor più fondamentale: “Perché dovrei uscire dalla zona di comfort?”

Uscire dalla propria comfort zone significa imparare, crescere, evolvere. E il bello che sei tu, in completa libertà a scegliere fino a dove spingerti. C’è chi infatti preferisce procedere a brevi passi, chi invece si butta a capofitto e passa da zero a cento. Su questo non esiste una regola precisa. A volte hai una occasione che merita di essere colta, altre invece puoi affrontare tutto con tempi più lenti. La costante, a mio avviso, è rappresentata dalle cose importanti su cui dovremmo focalizzarci sono due: il processo e l’apprendimento.

Il processo. Per processo intendo l’atto di “so-stare” coscientemente nel percorso che stiamo facendo, assaporandone il momento. Fare una valutazione di quello che stiamo facendo e in che modo stiamo progredendo.

L’apprendimento. Fare un momento positivo di auto-critica per capire come ci siamo sentiti, cosa abbiamo appreso. Valutare pro e contro, per capire cosa ci portiamo dietro da questo momento in poi.

Viaggiare per uscire dalla propria zona di comfort

Anche il viaggio può essere una pratica per uscire dalla propria zona di comfort. Quando viaggi infatti rompi la tua routine. E questo di per sé è già un primo cambiamento. Non hai più i tuoi orari, le tua attività, le tue regole, e devi imparare a saperti adattare. Ai ritmi, alla cultura, alla cucina, alla lingua. Ad una serie di cose che normalmente dai per scontato.

Viaggiare significa vivere, anche se per poco, nell’incertezza. Questa prima considerazione ci apre al passaggio successivo. La capacità di problem solving. Molto spesso infatti, quando siamo in viaggio, può capitare un imprevisto. Come reagiamo alla situazione? Come troviamo una soluzione? Ecco al lora che il viaggio ci sfida a trovare nuove soluzioni per la gestione del non noto, e ci ripaga con una nuova skill fondamentale anche in ambito professionale.

Viaggiare ci apre verso nuovi orizzonti, anche interiori

Viaggiare ci spinge al confronto. E ci muove verso l’altro. A conoscere nuove persone in momenti di gioia e di difficoltà. Ci insegna a comunicare anche se non si conosce la lingua locale, e di averne rispetto. Della cultura e della terra che stiamo visitando. E questo è un grande arricchimento perché quando torniamo poi a casa nostra, le cose le notiamo. Parliamo con un tono di voce diverso, più calmo e meno squillante, e siamo più propensi all’ascolto. Iniziamo anche ad essere consumatori più consapevoli. Come vedi, siamo uscitiə e rientratə, più volte e con una certa naturalezza, dalle nostre zone di comfort.

C’è chi viaggiando scopre anche la meditazione, o il divino. C’è chi si ricongiunge finalmente, con se stessə. Si comprende di cosa si ha bisogno e cosa è superfluo. Si creano legami, che poi restano indissolubili. Perché del viaggio si è assaporato la parte più bella, la condivisione. Ed ecco che si prende consapevolezza di una nuova dimensione di sé, esplorando emozioni e reazioni che pensavamo di non possedere.

Viaggiare arricchisce l'autostima

Quando poi torni dal viaggio e racconti la tua esperienza ad amici, colleghi e parenti, sei più spigliatə; e ti scopri colmə di una nuova ricchezza perché hai affrontato situazioni inaspettate e, sì, sicuramente qualche imprevisto; ma alla fine ce l’hai fatta, e vuoi subito rimetterti in moto verso una nuova destinazione. E anche se qualcosa è andato storto, ti ha comunque arricchito, di ha dato una nuova consapevolezza e obbligato ad una conoscenza. Insegnamento questo di cui farei sicuramente tesoro per il futuro.

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